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Un programma di coaching per diventare il primo della classe
Giorno 2 – Lettura attiva
Breve introduzione
Il coach spiega che leggere passivamente è come guardare scorrere un film senza capire la trama. Per imparare davvero, bisogna trasformare la lettura in un dialogo con il testo: farsi domande, cercare risposte, sottolineare con criterio, ridurre le informazioni a parole chiave e schemi. La regola d'oro è che meno si scrive, più si capisce: il cervello lavora meglio quando distilla, non quando copia.
Esercizio 1 – Trasformare in domande
Lo studente prende un paragrafo breve del libro di scuola. Ogni periodo viene trasformato in una domanda. Ad esempio, da "La fotosintesi avviene nelle foglie grazie alla clorofilla" diventa: "Dove avviene la fotosintesi e quale sostanza la permette?". Lo studente prova a rispondere ad alta voce. Questo trasforma il testo in un quiz personale.
Esercizio 2 – Evidenziare con criterio
Su un nuovo paragrafo, lo studente evidenzia solo le 4-5 parole essenziali. Il coach lo guida a evitare l'errore di sottolineare tutto. Alla fine, leggendo solo le parole scelte, il ragazzo deve riuscire a ricostruire l'intero contenuto.
Esercizio 3 – Parole chiave e mappe concettuali
Dopo aver selezionato le parole chiave di una pagina, il ragazzo costruisce una mappa concettuale: mette al centro l'argomento principale e disegna collegamenti verso i sotto-argomenti. Non importa la precisione grafica, conta la chiarezza dei legami. La mappa diventa una fotografia mentale della lezione.
Esercizio 4 – Riassunto lampo
Lo studente chiude il libro e, guardando solo la mappa, deve raccontare ad alta voce l'argomento. Questo esercizio verifica immediatamente la comprensione e allena la memoria di lavoro.
Ripasso creativo finale
Il ragazzo riprende le domande create e sceglie le più importanti. Le scrive su foglietti separati e le pesca a caso, provando a rispondere come in un gioco a quiz. Il coach, se presente, funge da conduttore che stimola e corregge.
Attività creativa PSI
La mappa concettuale viene trasformata in una scena teatrale. Ogni nodo principale della mappa diventa un personaggio: per esempio, la "Clorofilla" può parlare con il "Sole", il "Glucosio" dialoga con l'"Anidride Carbonica". Il ragazzo, da solo o con l'aiuto del coach, mette in scena brevi battute improvvisate che rappresentano i legami della mappa. In questo modo la pagina di libro si anima come un piccolo copione teatrale.
📍 Ricevo presso Pescara Salute
🏢 Via Tiburtina Valeria 87
💻 Sessioni disponibili online
📞 Tel. 327 463 5132

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Neuroscienze ed apprendimento strategico.
Negli ultimi decenni le neuroscienze cognitive hanno guadagnato un posto centrale nel dibattito sull'apprendimento. L'accesso a nuove tecniche di indagine (fMRI, EEG ad alta densità, TMS, optogenetica negli studi animali) ha permesso di osservare con maggiore precisione le dinamiche cerebrali legate alla memoria, all'attenzione e al controllo esecutivo. Tuttavia, la trasposizione diretta di questi risultati al contesto educativo è stata spesso problematica: la proliferazione di "neuromiti" (emisfero destro vs. sinistro, stili di apprendimento visivo/auditivo/cinestetico) ha distorto l'immagine della scienza. L'urgenza, per docenti e ricercatori, è dunque di distinguere ciò che ha solida evidenza da ciò che è suggestione, traducendo le scoperte in principi applicabili ai metodi di studio universitari.
La memoria non è un magazzino unitario, ma un insieme di sistemi interagenti. Le neuroscienze hanno mostrato il ruolo cruciale dell'ippocampo nell'acquisizione di nuove informazioni dichiarative e la successiva riorganizzazione neocorticale attraverso processi di consolidamento. La plasticità sinaptica, regolata da fenomeni come la long-term potentiation (LTP), rappresenta il substrato biologico dell'apprendimento: le connessioni si rafforzano o si indeboliscono in base all'uso. Il sonno, in particolare nelle fasi a onde lente e REM, svolge una funzione insostituibile di consolidamento e riorganizzazione, favorendo l'integrazione delle nuove tracce nella rete delle conoscenze pregresse. Sul piano pratico, queste evidenze confermano l'importanza della distribuzione temporale dello studio e della qualità del riposo, aspetti spesso trascurati dagli studenti.
La ricerca neuroscientifica ha contribuito a chiarire i limiti dell'attenzione selettiva e la difficoltà intrinseca del multitasking. Le funzioni esecutive, localizzate in gran parte nella corteccia prefrontale, mediano il controllo dell'attenzione, la pianificazione e l'inibizione di distrazioni. Il carico cognitivo eccessivo attiva circuiti di stress che compromettono la memoria di lavoro e la codifica. Nella pratica universitaria, l'uso simultaneo di dispositivi digitali e fonti multiple, se non strutturato, porta a un apprendimento superficiale. Un metodo di studio efficace deve perciò prevedere condizioni di concentrazione focalizzata, pause regolari e ambienti poveri di distrazioni.
Gli effetti robusti documentati dalla psicologia cognitiva trovano oggi conferme neuroscientifiche. La pratica di recupero attiva reti più ampie rispetto alla semplice esposizione, rinforzando i tracciati sinaptici e rendendo più accessibili le informazioni. La spaziatura temporale tra le sessioni di studio favorisce il riattivarsi delle tracce in fase di consolidamento, potenziando il trasferimento a lungo termine. L'interleaving, ossia l'alternanza tra compiti o domini diversi, promuove la discriminazione neurale e previene l'interferenza proattiva. Questi meccanismi evidenziano la necessità di considerare lo studio non come accumulo lineare, ma come processo dinamico di riattivazione e ristrutturazione.
Le funzioni esecutive, comprendenti pianificazione, monitoraggio e flessibilità cognitiva, sono alla base dell'autoregolazione nello studio. La ricerca mostra che studenti con maggior controllo esecutivo sono più capaci di stabilire obiettivi, monitorare il progresso e inibire strategie inefficaci. Tali capacità non sono fisse, ma possono essere allenate attraverso pratiche di consapevolezza metacognitiva, auto-monitoraggio e feedback. Il collegamento con le neuroscienze rafforza l'idea che la regolazione strategica non sia un semplice atteggiamento, ma un insieme di abilità supportate da reti neurali plastiche e sensibili all'esperienza.
L'interesse crescente per le neuroscienze in educazione porta con sé due rischi: il riduzionismo biologico e la banalizzazione divulgativa. Il primo riduce la complessità dell'apprendimento a meri correlati neurali, trascurando dimensioni culturali e relazionali; il secondo propone slogan seducenti ma infondati, che rischiano di orientare male le pratiche didattiche. D'altra parte, le opportunità sono significative. Le neuroscienze possono fornire basi biologiche solide a principi cognitivi già validati, rafforzando la loro legittimità e spingendo verso un'integrazione interdisciplinare. Possono inoltre suggerire nuove linee di indagine, ad esempio sul ruolo delle emozioni nell'apprendimento, sul rapporto fra stress, resilienza e memoria, o sull'impatto delle tecnologie digitali sulla plasticità cerebrale.
Per tradurre i dati neuroscientifici in didattica occorre un modello multilivello. A livello neurobiologico, le evidenze mostrano l'importanza di plasticità, consolidamento e regolazione emotiva. A livello cognitivo, questi processi si traducono in strategie come recupero, spaziatura, interleaving, auto-monitoraggio. A livello didattico, infine, trovano applicazione in pratiche di insegnamento che scandiscono i tempi di esposizione, integrano verifiche frequenti, promuovono riflessione metacognitiva e valorizzano il sonno e il benessere come parti del percorso formativo. L'integrazione richiede un dialogo costante fra neuroscienziati, psicologi cognitivi ed educatori, in una prospettiva transdisciplinare.