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Un programma di coaching per diventare il primo della classe
Giorno 4 – Concentrazione e gestione del tempo
Breve introduzione
Il coach spiega che non conta quante ore si passano sui libri, ma la qualità del tempo. Studiare sei ore distratti equivale a non studiare, mentre un'ora di concentrazione intensa vale molto di più. Per allenare la mente servono tecniche di gestione del tempo e la capacità di costruire ambienti senza distrazioni. La regola è semplice: meno confusione fuori, più chiarezza dentro.
Esercizio 1 – Tecnica del pomodoro
Lo studente imposta un timer per 25 minuti di studio focalizzato e 5 minuti di pausa. Durante i 25 minuti non deve alzarsi, guardare il telefono o distrarsi. Alla fine dei 5 minuti di pausa, riprende un nuovo ciclo. Dopo 4 "pomodori" può concedersi una pausa più lunga (15-20 minuti). Questo esercizio crea ritmo e aiuta a superare la tentazione di rimandare.
Esercizio 2 – Eliminazione delle distrazioni
Lo studente prepara l'ambiente: spegne notifiche, mette il telefono lontano, tiene solo ciò che serve sulla scrivania. Scrive una lista di tutte le possibili distrazioni (pensieri, rumori, voglia di fare altro) e, accanto a ciascuna, trova una strategia per ridurla. Questo passaggio aumenta la consapevolezza e riduce la perdita di tempo.
Esercizio 3 – Blocchi tematici
Lo studente prende le materie scolastiche e le organizza in blocchi di studio. Ad esempio: 2 pomodori per matematica, 1 per storia, 1 per inglese. L'idea è alternare materie più pesanti a materie leggere, in modo da non sovraccaricare la mente.
Esercizio 4 – Pause attive
Nelle pause brevi, invece di guardare lo schermo, lo studente fa un'attività rigenerante: stretching, bere acqua, camminare, ascoltare un brano musicale energizzante. Questo riduce la stanchezza e permette di ripartire freschi.
Ripasso creativo finale
Alla fine della giornata, lo studente riflette: quanto è riuscito a concentrarsi? Quali distrazioni ha vinto, quali restano difficili? Scrive in due righe la propria esperienza, come un piccolo diario della concentrazione.
Attività creativa PSI
Durante le pause o alla fine di un blocco di studio, lo studente rappresenta con il corpo il concetto principale appena appreso: può essere un gesto ampio, una posizione, una piccola azione teatrale. In questo modo la pausa diventa anche un rinforzo mnemonico. Oppure, se accompagnato dal coach, può improvvisare una breve scena: il coach fa la "distrazione" (telefono, videogiochi, sonno) e lo studente deve resistere, interpretando se stesso che resta concentrato. Un gioco teatrale che rafforza la disciplina in modo divertente.
📍 Ricevo presso Pescara Salute
🏢 Via Tiburtina Valeria 87
💻 Sessioni disponibili online
📞 Tel. 327 463 5132

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Tecniche di studio e disuguaglianze formative.
Il metodo di studio viene spesso trattato come una competenza puramente individuale, attribuendo agli studenti la responsabilità di "sapersi organizzare" e di "trovare il proprio sistema". Tuttavia, ricerche sociologiche ed educative mostrano che l'accesso a tecniche efficaci non è distribuito in modo uniforme. L'uso consapevole di strategie come la pratica di recupero, la spaziatura, l'interleaving o la riflessione metacognitiva è più diffuso fra studenti provenienti da contesti familiari con elevato capitale culturale o che hanno frequentato scuole secondarie con attenzione esplicita alle competenze di studio. Di conseguenza, il divario motivazionale e cognitivo non è solo questione di impegno individuale, ma di opportunità e risorse disponibili lungo il percorso formativo.
La letteratura in psicologia dell'apprendimento converge nell'identificare alcune tecniche ad alta efficacia: ripasso dilazionato, auto-verifica, spiegazione a sé, interrogazione elaborativa, alternanza dei compiti, uso di mappe concettuali ben progettate. Al contrario, pratiche come la semplice rilettura, la sottolineatura indiscriminata e lo studio intensivo a ridosso degli esami mostrano scarsa efficacia a lungo termine. Eppure, queste ultime sono le più diffuse, soprattutto tra studenti che non hanno ricevuto istruzione esplicita sulle strategie di apprendimento. La distribuzione sociale delle pratiche di studio produce così un paradosso: chi ha già vantaggi formativi tende a consolidarli con tecniche efficaci, mentre chi parte da condizioni svantaggiate perpetua strategie meno produttive.
Pierre Bourdieu ha mostrato come il capitale culturale familiare influenzi le possibilità di successo scolastico. Nel caso delle tecniche di studio, il capitale culturale si manifesta nella familiarità con strumenti organizzativi (agende, schemi, note strutturate), nell'abitudine al dialogo riflessivo sui contenuti, nella capacità di ricevere e integrare feedback. Famiglie con genitori laureati o impegnati in professioni intellettuali tendono a trasmettere implicitamente pratiche di autoregolazione cognitiva. Al contrario, studenti provenienti da contesti meno favorevoli spesso affrontano l'università senza un "repertorio" di strategie efficaci, affidandosi a sforzi quantitativi più che qualitativi.
Anche le istituzioni contribuiscono a questo divario. Nelle scuole secondarie, raramente le tecniche di studio vengono insegnate in modo sistematico e valutato. All'università, la responsabilità viene spesso delegata agli studenti, con il risultato che chi non ha competenze pregresse rimane svantaggiato. I servizi di tutorato e supporto allo studio, quando esistono, raggiungono solo una parte degli studenti e spesso non incidono in profondità sulle pratiche quotidiane. Inoltre, l'impostazione di molti corsi – basata su lezioni frontali dense e su valutazioni cumulative ad alta posta – tende a privilegiare chi già possiede strumenti autonomi per organizzare lo studio.
Il divario nelle tecniche di studio ha effetti cumulativi. Studenti che utilizzano strategie efficaci consolidano nel tempo il loro capitale cognitivo, riducono l'ansia da prestazione e migliorano la fiducia in sé. Al contrario, chi adotta pratiche superficiali accumula frustrazioni e fallimenti, che possono condurre a disimpegno e abbandono. Questo fenomeno contribuisce a spiegare, almeno in parte, i tassi di dispersione universitaria più alti tra studenti di prima generazione o con background socio-economico svantaggiato.
Ridurre le disuguaglianze nelle tecniche di studio richiede azioni a più livelli. Sul piano didattico, i docenti possono integrare esplicitamente nei corsi momenti di insegnamento delle strategie, modellando pratiche efficaci e rendendole parte della valutazione formativa. L'uso di quiz cumulativi, attività di riflessione metacognitiva, feedback mirati e micro-compiti distribuiti può rendere "obbligatorie" strategie altrimenti facoltative. Sul piano istituzionale, le università possono attivare laboratori trasversali di metodo di studio, accessibili a tutti gli studenti, soprattutto nei primi anni di corso. Anche le politiche di orientamento e di tutorato dovrebbero includere una dimensione strategica, non solo informativa. Infine, interventi mirati su studenti di prima generazione possono compensare almeno in parte il divario iniziale.
Insegnare tecniche di studio non è privo di rischi. Se presentate come "ricette universali", possono risultare artificiali o non adattabili alle discipline. Inoltre, alcuni studenti potrebbero percepirle come un ulteriore carico, anziché come strumenti di emancipazione. Rimane aperta la questione della valutazione: come misurare l'impatto reale delle strategie insegnate, distinguendo fra uso dichiarato e pratica effettiva? Sono necessari studi longitudinali che colleghino interventi sulle tecniche di studio a esiti concreti in termini di performance, retention e benessere psicologico.